Avete mai sentito parlare di ansia adattiva?

admin

admin

L’ansia è un fenomeno normale è presente fin dalla nascita.

Tutti conosciamo lo stato emotivo, i pensieri apprensivi e i correlati fisiologici associati all’avvicinarsi di un esame, di un colloquio di lavoro o di un appuntamento che riteniamo importanti.

Tali manifestazioni ci allertano nei confronti di stimoli percepiti come pericolosi, consentendoci una reazione pronta e funzionale agli scopi in gioco: le risorse cognitive si focalizzano sulla situazione problematica e sulle possibili soluzioni, il sistema nervoso autonomo provvede all’attivazione di una serie di meccanismi fisiologici (aumento della frequenza cardiaca e respiratoria, alterazione della pressione arteriosa ecc.) che preparano l’organismo ad affrontare lo stressor, mobilitando le energie difensive (risposta biologica di attacco o fuga).

Il valore adattivo dell’ansia risiede dunque nel potenziamento delle capacità operative: in assenza di questo stato emotivo, ad esempio di fronte a un esame imminente, potremmo trascurare un’adeguata preparazione, deconcentrarci durante lo studio e produrre un’esposizione poco brillante, ottenendo risultati inferiori alle nostre potenzialità.

Il rapporto tra attivazione psicofisiologica e prestazioni è regolato dalla legge di Yerkes-Dodson (1908) e assume la forma di una U rovesciata: al crescere dell’ansia la performance migliora fino a un livello massimo che corrisponde all’attivazione funzionalmente ottimale; superato questo punto, un suo ulteriore incremento determina un progressivo scadimento della prestazione verso livelli sempre più disfunzionali.

Quand’è che l’ansia da adattiva diventa patologica?

L’ansia patologica risulta, quindi, quantitativamente eccessiva e qualitativamente diversa, perde il suo valore adattivo e può rendere insostenibili le più semplici attività quotidiane, inficiando anche gravemente la qualità della vita.

In alcuni casi può non essere semplice stabilire confini netti tra questa è un normale surplus di attivazione fisiologica; il giudizio clinico deve quindi essere guidato dalla valutazione di alcune caratteristiche discriminanti, importanti anche ai fini dell’eventuale inquadramento diagnostico della sintomatologia riferita:

  • Frequenza: è necessario chiedersi se il fenomeno è occasionale o ricorrente e quante volte si verifica in un arco di tempo determinato;
  • Durata: si indaga per quanto tempo persiste, se presente per la maggior parte della giornata o se si manifesta, invece, in situazioni specifiche;
  • Intensità: è possibile tentare di quantificare la forza dello stato di apprensione esperito attraverso indici soggettivi (ad esempio chiedendo al soggetto di attribuirle un punteggio da 0 a 100) e/o indicatori fisiologici (come la frequenza cardiaca e respiratoria). Il livello massimo di ansia sperimentabile è rappresentato dall’attacco di panico;
  • Ragionevolezza del pericolo previsto: l’ansia nasconde sempre una previsione di danno, più o meno ben definito. La patologia interviene quando la stima della sua entità e/o della probabilità che questo si verifichi supera sensibilmente quella effettuata da individui appartenenti al medesimo contesto sociale, diventando irrealistica e insensibile a rassicurazioni volte a ridimensionarla;
  • Interferenza nel funzionamento globale dell’individuo: è importante valutare quanto la sintomatologia espressa condizioni l’esecuzione delle attività che la persona svolge o la non esecuzione di quelle che desidererebbe realizzare o non pratica da anni;
  • Grado di disagio associato: il livello di malessere soggettivo associato alla sintomatologia è variabile; in alcuni individui la presenza di forte ansia è legata allo sviluppo di un disturbo depressivo maggiore secondario o a una notevole restrizione del campo di interessi e d’attività, mentre in altri, solitamente in condizioni di minore severità del disturbo, può non precludere uno stato generale di benessere e la realizzazione personale.

I disturbi d’ansia rappresentano attualmente la categoria psicopatologica più diffusa nella popolazione generale, con una prevalenza del 28,8% (Kessler, Wang,2008), associata una riduzione significativa del livello percepito di qualità della vita (Rapaport et al.,2005).

La loro corretta e tempestiva diagnosi rivestono importanza, oltre che scientifica, sociale.

Bibliografia

Kessler R. C., Wang P. S., (2008), The Descriptive Epidemiology of Commonly Occurring Mental Disorders in the United States, in “Annual Review of Public Health”, 29, pp. 115-29.

Rossi Monti M., (2016), Manuale di psichiatria per psicologi, Carocci editore.

Yerkes R. M., Dodson J. D. (1908), The relation of Strenght of Stimulus to Rapidity of Habit- Formation, in “Journal of Comparative Neurology and Psychology”, 18, 5, pp. 459 – 82.

Rapaport et al. (2005), Quality of Life Impairment in Depressive and Anxiety Disorders, in “American Journal of Psychiatry”, 162, 6, pp. 1171-8.